Un parterre di grandi investitori stranieri come Tosca Fund, De Shaw, Glg, fino all’immancabile brasiliana Btg Pactual, già socio di Montepaschi. Ma anche investitori italiani come Kairos, Mediolanum e Anima. Il collocamento di titoli Carige da parte della Fondazione, alla fine, se si provasse a fare un’analogia con una partita di calcio, potrebbe essere un pareggio.
È infatti vero che la Fondazione ha ceduto il 10,96% del capitale della banca, incassando 95,2 milioni, anziché raggiungere l’obiettivo della vendita del 15%. È altrettanto vero che la cessione è avvenuta a 0,40 euro, quindi con uno sconto (pari a circa l’11,7% tenendo conto già degli effetti dell’aumento di capitale approvato dal Cda di Banca Carige) maggiore a quanto preventivato alla vigilia: con la conseguenza che il mercato ha reagito male. Il titolo ieri a Piazza Affari ha perso oltre il 17%, a un valore poco superiore al prezzo di collocamento.
Tuttavia l’operazione, a posteriori, può essere guardata con la logica del bicchiere mezzo pieno per la Fondazione, scesa a poco sotto il 30 per cento. I collocatori Banca Imi e Credit Suisse si sono infatti trovati di fronte una situazione dei mercati ben diversa rispetto a quella di un mese fa, quando ad esempio erano state collocate le quote di Mps da parte della Fondazione senese: un mercato caratterizzato da forte volatilità e con andamento non favorevole del differenziale Btp-Bund e con una maggiore diffidenza verso l’Italia. L’esito è quindi stato il massimo risultato ottenibile. Il collocamento di circa l’11% del capitale di Banca Carige rappresenta la terza operazione, per percentuale di capitale allocato con un accelerated bookbuilding (dopo Mps e Assicurazioni Generali). Inoltre il prezzo di 0,40 euro per azione può rappresentare un punto di equilibrio coerente tra la dimensione del capitale di Banca Carige ed i (limitati) volumi di scambi sino ad oggi espressi dal titolo.
Infine l’operazione rappresenta una tappa di avvicinamento al futuro assetto di governo di Banca Carige, finalizzato ad ampliare la base dei soci stabili, con un gruppo di investitori istituzionali, in grado di partecipare alla ricapitalizzazione ed al rilancio del gruppo.
A Genova, ora, si guarda appunto al futuro. E dietro l’angolo, in giugno, ci sarà il lancio della ricapitalizzazione da 800 milioni di euro. Resta da capire cosa farà la Fondazione che ora ha risolto uno dei suoi principali problemi, cioè potrà rimborsare parte dei debiti (complessivamente per circa 200 milioni) verso il mondo bancario (in particolare Mediobanca).
Da tempo si sostiene che la Fondazione potrebbe restare, dopo la ricapitalizzazione, con una quota attorno al 15%, quindi diluendosi e seguendo solo in parte l’aumento con le risorse disponibili.
L’ente guidato da Paolo Momigliano potrebbe però giocare una nuova carta nelle prossime settimane in modo da fare ulteriore cassa. È infatti vero che la Fondazione non potrà cedere altre azioni sul mercato nei prossimi 90 giorni. Ma è anche vero che l’ente, attualmente poco sotto il 30%, potrà vendere con trattativa privata a soggetti singoli altri pacchetti della banca. E, rispetto a qualche giorno fa, uno dei vantaggi è che il prezzo del titolo è sceso notevolmente e potrebbe attrarre investitori speculativi (cioè hedge fund) e fondi di private equity. Proprio quei fondi che, negli ultimi mesi, hanno avviato trattative con l’advisor della Fondazione, cioè Banca Imi. Secondo indiscrezioni l’ente genovese potrebbe infatti decidere di finalizzare le discussioni nelle prossime settimane.
I nomi dei potenziali interessati sono ancora top secret (si parla di investitori inglesi e Usa) ma di sicuro è la strada che potrebbe essere seguita, preferita rispetto alla cessione ad altri soggetti, ad esempio la Investindustrial di Andrea Bonomi che non è mai riuscita a raggiungere un dialogo proficuo con la Fondazione. Al di là di quello che succederà, con l’aumento di capitale alle porte, l’unica certezza è che dopo il collocamento di ieri, si va verso una Banca Carige contendibile in Borsa.