La divisione retail e rinnovabili di Eni è nel radar dei grandi fondi infrastrutturali e dei fondi di private equity. Secondo indiscrezioni, in vista dell’integrazione tra Eni gas e luce e il business delle rinnovabili, sarebbe spuntata una soluzione alternativa alla quotazione in Borsa, prevista per il 2022. Sul tavolo ci sarebbe infatti anche la cessione di una minoranza a un fondo.
In relazione ai rumors in circolazione, «Il Sole 24 Ore» ha contattato un portavoce Eni, che ha spiegato di «non commentare le indiscrezioni di mercato e che ogni ipotesi al riguardo è prematura. La società sta infatti valutando una serie di soluzioni in grado di valorizzare al meglio il business che deriverà dell’integrazione tra Eni gas e luce e il business delle rinnovabili di Eni. Una misura che, come già annunciato dalla società nell’ambito del nuovo piano strategico, consentirà una maggiore efficienza nel raggiungimento degli obiettivi di abbattimento delle emissioni scope 3 e di trarre sempre più valore dalla grande base clienti gas ed elettricità».
In ogni caso le opzioni dunque appaiono più di una: non soltanto l’Ipo borsistica ma un doppio binario che potrebbe portare alla vendita di una minoranza. In effetti la scelta di un «dual track» ha una sua valenza strategica: non è infatti possibile prevedere quale sarà la situazione dei mercati finanziari nel 2022, listini che ad oggi restano volatili. Non è poi stimabile in questo momento la valutazione che il mercato darà al settore delle rinnovabili, che potrebbe essere il volano di un’importante crescita futura. Il dossier sarebbe quindi stato esaminato da fondi infrastrutturali e specializzati, sempre interessati a investimenti di questo tipo.
Nello scorso marzo l’agenzia di stampa Reuters ha indicato che il colosso «oil» guidato da Claudio Descalzi punta a scorporare la nuova divisione retail e di energia rinnovabile entro l’anno prossimo e a quotarne una partecipazione di minoranza per raccogliere le risorse per finanziare la transizione energetica. La valutazione complessiva dell’operazione sarebbe di circa 10 miliardi di euro.
Secondo le ultime stime degli analisti, da una quota di minoranza la capogruppo potrebbe ricavare quindi fino a 3 miliardi di euro da reinvestire per i target sostenibili. L’obiettivo al 2030 è una base clienti di 15 milioni e una capacità di 15 GWh.