Ecco perché Eni ha vinto il project Titan e ha battuto i grandi fondi infrastrutturali

Un Project Titan per Eni. Era questo il nome in codice del processo vinto dal gruppo petrolifero italiano, che ha rilevato con una super offerta un mega-impianto eolico. Si tratta infatti del più grande impianto eolico off shore del mondo.
La proposta di Eni ha battuto l’offerta dei grandi fondi infrastrutturali pur di aggiudicarsi con un investimento da 405 milioni di sterline (pari a 448 milioni di euro) il 20% della centrale di Dogger Bank, che si trova nel Mare del Nord a oltre 100 chilometri dalla costa dello Yorkshire. Si tratta di un impianto da 190 turbine nato da un progetto del gruppo Equinor (la società petrolifera di stato norvegese) e dalla società specializzata SSE Renewables, che a regime potrà dare energia all’equivalente del 5 per cento delle famiglie britanniche. Una volta completata la centrale (entro il 2024) costerà 6 miliardi di sterline. L’investimento complessivo di Eni a1,2 miliardi di sterline (1,33 miliardi di euro). Advisor della transazione sono stati Rbc Europe, mentre il venditore si è avvalso della banca d’affari Rothschild.
Eni ha prevalso sulle offerte di grandi fondi di private equity, fondi infrastrutturali e gruppi specializzati: la cinese China Resources, il fondo sovrano norvegese Norges, Maple Power, ESB, il gruppo australiano Macquarie Infrastructure.
Ma come mai Eni ha fatto questo super investimento nel settore? Il trend è generale. Le grandi compagnie petrolifere, accusate in passato e accusate tuttora di creare inquinamento in alcune aree del mondo, stanno cercando di cambiare pelle e diversificano una parte del loro business sul green. Come si spiega nella nota di Eni, la complessità dell’impianto permette ad Eni di “accrescere le proprie competenze nella costruzione e gestione di progetti offshore wind per future iniziative, anche in altre aree geografiche”. Inoltre Eni con l’ingresso nel progetto Dogger Bank prosegue nella sua trasformazione industriale, da gruppo totalmente legato agli idrocarburi alla nuova società che dovrà obbligatoriamente nascere dopo il 2050, quando saranno vincolanti gli obiettivi della Ue di “zero emissioni” di CO2.