Governo contro Atlantia, gli investitori internazionali reclamano trasparenza su Autostrade

La partita Atlantia-Autostrade si complica sempre di più. Mentre esponenti del Governo riprendono a minacciare la revoca della concessione dopo l’arresto per l’ex ad della holding Atlantia e di Autostrade, Giovanni Castellucci (ora ai domiciliari) e per altri manager, torna prepotentemente sulla scena la manleva. Ovvio che Cdp, supportata dal Governo, cercherà di far pesare questa variabile, quella dei danni indiretti legati al crollo del Ponte di Genova che, fino ad oggi, ha rappresentato uno degli scogli del negoziato.
Quindi Atlantia e i Benetton, sotto la spinta del giro di manette sugli ex-manager, si dovranno chinare alle richieste di Cdp e a una valutazione (attorno ai 9 miliardi) che era stata considerata non congrua? Le intercettazioni di questi giorni hanno mostrato un quadro inimmaginabile, fino a qualche mese fa, sulla mancata manutenzione della rete autostradale da parte dell’ex management.
Ma si tratta pur sempre dell’ex-management, che è stato totalmente cambiato con i nuovi arrivi alle posizioni di vertice. Ecco perché, a mio avviso, si rischia di finire in un muro contro muro che difficilmente porterà da qualche parte, se non verranno trovate soluzioni di buon senso rispettando tutte le parti coinvolte.
Il buon esito del negoziato tra Atlantia e Cdp passa anche da un accordo sul Pef, il Piano economico e finanziario di Aspi per i prossimi anni, attualmente all’esame del Ministero delle Infrastrutture dopo i rilievi dell’Art e gli ulteriori aggiustamenti apportati dalla stessa Aspi. Si tratta di un documento cruciale, nei numeri, per stabilire il reale valore della concessionaria e dunque essenziale sia per l’offerta della cordata Cdp-fondi sia a vantaggio stessa Atlantia per valutare la proposta ricevuta.
Ma lo scoglio, ancora maggiore, è quello degli azionisti istituzionali di Atlantia. Gli esponenti del Governo, nelle loro minacce di revoca della concessione, fingono di non accorgersi (o forse non se ne accorgono proprio) che la maggioranza del capitale di Atlantia non è in mano ai Benetton (che restano pur sempre i maggiori soci) bensì complessivamente a centinaia di fondi istituzionali, in maggioranza esteri. Le stesse obbligazioni di Atlantia sono in mano a asset manager esteri.
La proposta di Cdp-Blackstone-Macquarie è stata rispedita al mittente per ben due volte da Atlantia in quanto non è stata considerata congrua in termini di prezzo. E questo dato è inconfutabile in quanto in un qualsiasi processo d’asta organizzato in modo competitivo Atlantia avrebbe potuto ottenere di più.
Christopher Hohn, influente gestore anglosassoni che attraverso il fondo inglese Tci gestisce circa 35 miliardi di dollari di investimenti, ha evocato il rischio di una distruzione di valore per i soci, ma anche per gli obbligazionisti di Atlantia. Hohn valuta Autostrade circa 11 miliardi. E Jonathan Amouyal, braccio destro dello stesso miliardario inglese gestore di hedge fund, ha commentato il dossier Autostrade spiegando che: “Il governo italiano deve agire in maniera trasparente nel fissare il prezzo di Aspi. Il mondo sta guardando. Noi e altri investitori non metteremo più soldi in Italia se la fiducia dei mercati nell’ordinamento giuridico italiano non verrà ristabilita”.
Questo cosa significa? Significa che il passaggio di Autostrade alla cordata Cdp dovrà avvenire a prezzo di mercato e non cercando strade alternative o minacce politiche, che in ultima istanza rischiano di colpire gli investitori internazionali. Alla fine sul tavolo non c’è soltanto l’uscita dei Benetton da Autostrade, che ovviamente dovrà per forza esserci, vista la vicenda del Ponte Morandi. Sul tavolo c’è di più. Ed è utile ricordare che gli investitori internazionali, che sommati hanno il maggior peso in Atlantia, hanno memoria di elefante.