Atac, la municipalizzata dei trasporti di Roma, è al collasso. Un collasso non solo finanziario, ma anche organizzativo. Troppi dipendenti, troppe sacche di improduttività, troppi sprechi. Di chi è la colpa? Il penultimo direttore generale Bruno Rota se ne è andato togliendosi qualche sassolino dalla scarpa: “C’è gente che fa turni di tre ore”. Intanto il debito di 1,3 miliardi sta facendo affondare la società verso un faticoso concordato in continuità. Proprio oggi Mattia Feltri, su La Stampa, ha scritto un corsivo che in poche righe rappresenta la crisi di Atac. “Un autista di autobus di Roma – dice Feltri – oltre che guidare gli autobus, faceva il traslocatore. Un altro faceva il piastrellista. Un altro ancora lavorava alle pompe funebri. Ogni giorno almeno un assunto su dieci rimane a casa, per malattia o permesso. Ad agosto la percentuale sale a uno su cinque. I sindacalisti si sono presi undicimila ore di permesso in più rispetto agli accordi. C’era chi era in permesso sindacale da un anno. Del resto in Atac ci sono undici sigle sindacali. Sono stati appena licenziati quaranta dipendenti entrati col sistema di Parentopoli, ma non vogliono rinunciare alla liquidazione”.
Ma non è tutto. “Ogni anno – continua Feltri – fino a pochi anni fa, venivano venduti biglietti falsi per 70 milioni di euro, con la collaborazione di dirigenti ed edicolanti. Sono state acquistate porte-vetro a 98 e 128 euro quando l’offerta media delle aziende sconfitte era di 6,5 e 13,5 euro. Fra il 2013 e il 2015 sono state bucate 6 mila gomme ma ne sono state sostituite d’urgenza 15 mila. Dove sono finite le 9 mila di troppo? Boh. La metropolitana, per sciopero o guasto, è ferma in media più di un giorno alla settimana. I suoi freni a disco costano 6 mila e 700 euro anche se il prezzo di listino è di mille e 700. Un viaggiatore su tre non paga il biglietto. Ogni giorno un autobus su quattro è fermo perché rotto”. Non c’è dubbio. Il nuovo sacco di Roma ha le fattezze dei bus dell’Atac.