Il sultano Erdogan con il pseudo-colpo di Stato fasullo, che secondo alcuni osservatori sarebbe stato organizzato da lui stesso per eliminare la magistratura, i suoi residui oppositori e qualsiasi forma di possibile democrazia nel Paese, potrebbe mettere nei guai anche le imprese italiane che hanno investito in quest’area. Tre i settori coinvolti: costruzioni, energia e banche. I riflettori sono su Astaldi, che è significativamente esposta alla Turchia tenuto conto che è coinvolta nella costruzione e gestione dell’autostrada Gebze-Izmir, del Terzo Ponte sul Bosforo e dell’ospedale di Etilik.
A fine 2015 Astaldi aveva investito nei due veicoli di queste concessioni: circa 270 milioni a titolo di equity e circa 190 milioni a titolo di semi equity per un totale complessivo pari a 460 milioni. Da notare che le concessioni sono incluse nel perimetro di asset in via di cessione da parte di Astaldi al fine di ridurre il debito.
Ora, secondo quanto indicato ad esempio dagli analisti di Equita, l’aumento del rischio paese potrebbe ulteriormente rallentare il processo di valorizzazione degli asset portando a valutazioni non pienamente soddisfacenti. Insomma, per Astaldi il pseudo-colpo di Stato, che potrebbe portare la Turchia totalmente fuori dalla democrazia ad opera di Erdogan, non sembra il migliore degli eventi possibili.
E che dire di Eni? Eni, anche se in modo marginale, e’ esposta alla Turchia per circa il 2% del capitale impiegato. Le attività di Eni in Turchia sono indirizzate principalmente nella divisione Gas & Power. Nel paese Eni vende gas naturale che viene trasportato dalla Russia tramite il gasdotto Blue Stream – nel 2015 pari a 7,76 miliardi di metri cubi, ovvero l’8.5% del totale delle vendite di gas. Blue Stream, che genera un flusso stabile di utile operativo, è uno dei principali gasdotti internazionali, che trasporta gas naturale dalla Russia alla Turchia, attraverso il Mar Nero. Gazprom ed Eni sono partner nel gasdotto al 50%, che nel 2014 ha trasportato 14,4 miliardi di metri cubi (16 miliardi di metri cubi a piena capacità). Il costo complessivo dell’opera è stata pari a 3,2 miliardi – circa il 2% del capitale impiegato in quota Eni.
C’e’ infine forse il problema maggiore, in caso di forti tensioni nel Paese; cioe’ Unicredit, che ha un’esposizione in Turchia attraverso il controllo del 40% di Yapi Kredi (3 banca del paese per sportelli con una quota di mercato del 9%), leader in alcuni segmenti del settore retail (per esempio 20% quota di mercato carte di credito). La partecipazione è consolidata ad equity e, ai prezzi mercato, vale circa 37 cent per azioni (20% del totale): Yapi Kredi contribuisce per il 15% agli utili consolidati di Unicredit.