Dalle figurine Panini a Ggp, luci e ombre per il private equity

Più di 10 miliardi di euro investiti tra il 1986 e il 2012 a fronte di 18 miliardi incassati dai disinvestimenti. Una raccolta di 1,35 miliardi nel 2012 con investimenti per 3,2 miliardi nello stesso anno. L’industria del private equity, come dimostrano i dati di recente presentati a Londra dall'Aifi, prova a riprendersi. I numeri degli ultimi anni sono stati di rilievo ma la crisi finanziaria ha picchiato duro. L’ultimo biennio è stato difficile: nel 2012 sono diminuiti i volumi degli investimenti rispetto al 2011, anche se è aumentato il numero delle operazioni. E il 2013 non si preannuncia facile. “Il segnale che emerge dalla “Italy Private Equity Confidence Survey”, redatta ogni sei mesi da Deloitte Financial Advisory, è nel complesso quello di uno stallo del numero di operazioni sui livelli attuali. Diminuisce il numero di operatori che si aspetta un numero stabile di deal sui livelli attuali: il 73,2% rispetto all’87,2% registrato nella precedente analisi” indica Elio Milantoni, partner di Deloitte.
Il private equity resta vivo sulle Pmi, mentre sui grandi deal c’è meno attività “Il numero dei grandi deal si è ridotto più che proporzionalmente di quello complessivo. Ciò spiega in buona parte la diminuzione dell'ammontare investito medio per singola operazione, passato da 11 milioni nel 2011 a poco più di 9 nel 2012. Per classi di fatturato delle aziende target, le Pmi (con fatturato inferiore ai 50 milioni), pur attraendo una parte minoritaria delle risorse, sono oggi la parte preponderante delle operazioni” indica Pierenrico Maringoni, capo dell’M&A di H7.
I riflettori sono oggi puntati su numerose operazioni. “Persiste l'interesse dei fondi verso i settori di punta della manifattura italiana (moda, food, design, meccanica di precisione); tuttavia, si registra una forte mortalità delle operazioni, tentativi che abortiscono, dovuta alla congiuntura economica negativa. Inoltre, domanda e offerta fanno fatica ad incontrarsi, spesso in quanto le aspettative di prezzo dei venditori restano troppo alte rispetto alla situazione economica complessiva” dicono dallo studio La Torre Morgese Cesàro Rio. Le operazioni restano su aziende di qualità. “In questi casi – spiega Eugenio Morpurgo, Ad di Fineurop Soditic – i multipli mostrano una crescita, sia nelle maggioranze, che hanno beneficiato di una finestra favorevole dell’acquisition financing, sia nelle minoranze”.
Molte operazioni sono concentrate su dismissioni di aziende nel portafoglio dei fondi: come la vendita di Ivri, leader nel settore dei vigilantes, da parte del fondo 21 Investimenti di Alessandro Benetton oppure l’asta su Valvitalia, azienda pavese gioiello nell’impiantistica energetica nella quale sono pronti ad uscire dalla compagine i fondi Chequers Capital, Synergo e Igi Investimenti. In dirittura ci sarebbe anche la vendita di Rhiag da parte del fondo Alpha, per la quale è rientrato in pista il fondo Pamplona. Sarebbero poi diversi i private equity (tra cui Alpha e Triton) a giocarsi la conquista di Global Garden Products, multinazionale dei tosaerba di proprietà delle banche. Tra le aste di una certa dimensione ci sono poi quella su Octo Telematics (posseduta da Charme) e quella sulle figurine Panini. Negli ultimi mesi sono infine stati archiviati l’acquisto del gruppo della gioielleria Buccellati da parte di Clessidra, quello di Plastiape da parte di Pm Partners, la conquista dell’operatore delle rinnovabili Building Energy da parte di Synergo Sgr e soprattutto l’acquisizione della farmaceutica Doc Generici da parte del fondo inglese Chaterhouse, operazione che rappresenta un segnale di risveglio in Italia per i grandi fondi esteri.
Tra le dismissioni più importanti c’è stata soprattutto la cessione di Cerved a Cvc e quella di Avio a General Electric da parte del fondo inglese Cinven: “Forse la dinamica di M&A oggi più importante in Italia proviene dall'interesse acquisitivo di corporation internazionali. Salvo rare eccezioni, per questi gruppi internazionali l’Italia non è un Paese strategico, ma alcune aziende italiane possono rappresentare asset" strategici” continua Maringoni.
Tra le note dolenti c’è pero' da registrare la minore presenza sul suolo italiano di alcuni grandi fondi, i cui manager negli ultimi tempi si sono spostati a Londra. E’ il caso di private equity come Bridgepoint, Apax, Advent e Bc Partners, che un tempo avevano strutture importanti a Milano. Restano invece ben presenti tra i nostri confini fondi come Cvc (guidato in Italia da Giampiero Mazza ha di recente chiuso il nuovo fondo paneuropeo da 10,5 miliardi e tra le sue fila è arrivato da Cinven Andrea Ferrante), Permira (dove a fine anno ci sara' il passaggio generazionale tra l'ad Nicola Volpi e gli altri partner) e Carlyle, guidato in Italia da Marco De Benedetti. “Molti dei grandi fondi internazionali, indipendentemente dal fatto che mantengano, o chiudano, l'ufficio in Italia, continuano a disporre di un Italian desk adeguato per eseguire operazioni tra i nostri confini” dice Maringoni. I deal realizzati all’estero per ora tengono. Per Deloitte, il numero di operazioni effettuate da investitori finanziari stranieri, nel 2012 ha raggiunto quota 27 operazioni, rispetto alle 20 nell’anno precedente.
Tuttavia restano altri nodi sul tavolo. Molti private equity stranieri hanno lamentato la difficoltà ad operare in italia per le problematiche fiscali, visto che la presunta tassazione degli interessi passivi nei leverage buyout sta diventando terreno fertile di contenzioso con l’Agenzia delle entrate.