Febbre di convertibili a Piazza Affari. Le attuali condizioni dei mercati favoriscono questa tipologia di strumenti. Da Pirelli a Saipem, sono diverse le situazioni dove il convertibile è stato utilizzato e dove potrebbe essere utilizzato in futuro. A far propendere per questa scelta, in alcune situazioni, sono diverse caratteristiche favorevoli in questo momento: il convertibile è scelto da società con buoni fondamentali ma con le quotazioni depresse a causa della situazione congiunturale e della pandemia. Inoltre sono prodotti caratterizzati da un premio importante (circa del 40%). E sono perfetti per essere scelti in una situazione come l’attuale, di volatilità dei mercati.
Pirelli ha già preso questa strada con il collocamento di un prestito da 500 milioni di euro, con scadenza 2025, convertibile in azioni ordinarie. Il prestito ha avuto una forte richiesta, soprattutto dagli investitori asiatici. Il titolo non paga interessi e serve ad allungare la duration del debito Pirelli – che a fine settembre era circa 3 anni – ricorda Equita Sim – oltre che a ridurre il costo medio del debito (1,99% a fine settembre indica lo stesso broker). Una volta approvata dall’assemblea degli azionisti di Pirelli, prevista entro il giugno 2021, i titoli – in base alle tempistiche che verranno definite – saranno convertibili in azioni ordinarie al prezzo di conversione di 6,235 euro: a questi valori le azioni ordinarie sottostanti le obbligazioni corrisponderebbero a circa l’8% delle azioni Pirelli in circolazione. In questo caso il prezzo di conversione è pari a un premio del 40% circa sulla chiusura di Borsa e del 45% rispetto al prezzo di collocamento (4,3 euro) dell’operazione di “concurrent delta placement” organizzata dagli istituti coordinatori dell’offerta sul bond. Il placement era finalizzato a facilitare e rendere più ordinate le operazioni di copertura sul titolo, in particolare da parte di quei fondi specializzati in volatilità che avrebbero altrimenti venduto allo scoperto titoli Pirelli sul mercato per coprirsi dai movimenti dell’azione.
Un piano simile, anche se con finalità totalmente diverse, è invece ormai allo studio ormai da anni su Saipem. Non si è mai concretizzato e quindi non è detto che questa volta venga finalizzato. Eni starebbe infatti valutando ormai da tempo, assieme a diverse altre ipotesi di lavoro, di ridurre parte della quota detenuta nella società di servizi oil a fronte di un rafforzamento della partecipazione di Cdp. Al Le opzioni allo studio, come anticipato dal Sole 24 Ore, contemplerebbero strumenti che non abbiano alcun impatto sul mercato, tra cui l’emissione di un bond a lunga scadenza convertibile in azioni Saipem. Strategia già utilizzata da Eni per uscire dalle partecipazioni di Galp e Snam tra il 2012 e il 2016, considerate non più strategiche. Saipem è controllata da un patto di sindacato, in scadenza il 22 gennaio 2022, sul 25% del capitale che vincola il 12,5% che fa capo a Cdp e il 12,5%, della quota complessiva del 30,5%, in capo a Eni. “La partecipazione in Saipem non era considerata strategica da parte di Eni da quando era stata ridotta la quota al 30,5% alla fine del 2015, permettendo di deconsolidarla dal bilancio”, ha spiegato Equita. Di questa quota “solo il 12,50% è nel patto di sindacato con Cdp”. Il patto parasociale, è svincolabile 6 mesi prima della scadenza. E la dismissione rafforzerebbe ulteriormente il bilancio di Eni migliorando il leverage pro-forma di circa il 2% in caso di vendita della quota completa. Nel terzo trimestre era pari al 29%, includendo i bond ibridi nel capitale”, ha indicato la stessa Equita.