Il gruppo Esselunga, senza il suo fondatore, è atteso a un riassetto azionario. Il cambio di compagine del colosso della grande distribuzione, che fa capo alla controllante Supermarkets Italiani, è diventato negli ultimi mesi sempre più probabile dopo i sondaggi che lo stesso Caprotti, assieme ai suoi consulenti, aveva iniziato a effettuare con alcuni gruppi finanziari che si erano fatti avanti: fondi di private equity internazionali soprattutto. Caprotti aveva iniziato a digerire, a malincuore, l’idea di vendere soltanto nell’ultimo anno, complici forse anche le condizioni di salute in peggioramento, anche se chi lo conosceva lo descriveva ancora attivo sul lato lavorativo.
Erano anni che il mondo finanziario gli faceva pressioni per vendere. Ma lui non aveva mai accettato: nemmeno quando si era presentato con una super offerta il gruppo statunitense Walmart qualche anno fa. Fino all’ultimo periodo. Negli ultimi tempi alcuni degli avvocati di Caprotti erano stati avvicinati da alcuni grandi investitori e il fondatore di Esselunga questa volta aveva deciso di vedere le carte delle offerte. Caprotti non voleva vendere a un competitor straniero diretto, come ad esempio proprio Walmart ma anche Tesco o Carrefour: ma con i private equity il discorso poteva cambiare.
Così nelle ultime settimane sono proseguite le discussioni con alcuni gruppi finanziari internazionali: i fondi Cvc, Blackstone e Bc partners. Al punto che si è reso necessario conferire un mandato a Citigroup per valutare le offerte dei fondi. Negli ultimi giorni, a causa del peggioramento delle condizioni fisiche di Caprotti, il tema del riassetto è stato seguito dagli avvocati di fiducia dell’imprenditore, cioè Vincenzo Mariconda, anche presidente di Esselunga, e Giuseppe Lombardi. Ora resta da capire cosa succederà. L’operazione dovrebbe momentaneamente fermarsi per capire le volontà di Caprotti sul futuro dell’azienda. Il testamento è in mano al notaio e uno dei nodi dei prossimi giorni sarà quello della successione visto che Caprotti è stato per diversi anni in lite in Tribunale con i figli di primo letto Giuseppe e Violetta per il controllo del gruppo. Qualche mese fa Violetta e Giuseppe hanno fatto ricorso in Cassazione contro la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano a maggio.
Con la morte del padre ora resta da capire se Giuseppe, in azienda fino al 2004, e Violetta saranno favorevoli alla dismissione della catena. In caso affermativo, secondo alcune fonti vicine al riassetto, l’operazione potrebbe tornare viva fra alcuni mesi quando tutto sarà più chiaro e potrebbe essere anche scelta una forma di vendita ancora più competitiva. Quindi allargando la lista dei compratori anche ai grandi gruppi industriali che Bernardo Caprotti non aveva voluto prendere in considerazione. Esselunga, con un fatturato consolidato di 7,3 miliardi e un utile netto di 291 milioni, potrebbe valere tra i 5 e i 6 miliardi di euro, se si guarda alla sola attività commerciale, a cui si aggiunge un altro miliardo e mezzo di immobili. Il gruppo, dal punto di vista commerciale è già un’autentica Ferrari, gestita in modo quasi «militare». Insomma, sembra difficile gestire meglio la catena fondata da Caprotti, di quanto lo sia ora. Forse i compratori potrebbero provare a cambiare il modello di business, ma con il forte rischio di rompere una macchina ritenuta perfetta.