Fanno discutere, anche in ambiente finanziario, le parole pronunciate oggi da Matteo Renzi durante il suo intervento alla Camera sulle linee di attuazione del programma di Governo. “In queste ore – ha detto Renzi – la prima azienda italiana, la 22esima azienda al mondo, che ha decine di migliaia di lavoratori che stanno a dimostrare che un’azienda italiana può fare grandi risultati, è stata raggiunta da uno scoop, da un avviso di garanzia, da un’indagine. Dico qui in Parlamento che noi aspettiamo le indagini e rispettiamo le sentenze, ma non consentiamo a nessuno scoop di mettere in difficoltà o in crisi decine di migliaia di posti di lavoro e non consentiamo che avvisi di garanzia più o meno citofonati ai giornali, consentano di cambiare la politica aziendale in questo Paese. Se per voi questa è una svolta, prendetevi la svolta, ma questo è un dato di fatto per rendere l’Italia un Paese civile”.
Lo scoop di cui si parla è quello del Corriere della Sera con cui Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella hanno rivelato per primi dell’indagine della Procura di Milano sulla presunta tangente Eni per il petrolio in Nigeria per la quale è indagato l’amministratore delegato Claudio Descalzi, scelto proprio da Matteo Renzi per quest’incarico. Ora la domanda sorge spontanea: può uno scoop mettere in difficoltà un’azienda? E in un Paese civile, come ha indicato Renzi, uno scoop può colpire una grande azienda? Partendo dal presupposto che nessuno è colpevole fino a sentenza, tanto più quando si parla di indagini preliminari, si può dare uno sguardo all’estero per capire che aria tira nei confronti degli scoop dei giornali. Se andiamo negli Stati Uniti, la maggiore economia del mondo e quella con il mercato finanziario più evoluto, l’esempio modello è il Wall Street Journal, dalle cui colonne sono partiti gli scoop sui casi Enron e World Com. Ebbene, il Wall Street Journal ha sostenuto una linea di condotta alla Mani Pulite. Con il motto Do you remember Watergate? Facendosi interprete di una crociata contro la corruzione. E proprio il Watergate, del resto, ha dimostrato che gli scoop possono far cadere anche i Governi della maggiore economia mondiale. Se invece guardiamo in altre parti del mondo, ad esempio in Russia e Turchia, governi certo non virtuosi per il rispetto dei diritti civili, verso gli scoop dei giornali (soprattutto se riguardano il Governo o aziende statali) c’è una vera e propria avversione, per usare un eufemismo. In Turchia, dove regna Recep Tayyip Erdoğan, c’è il record mondiale di giornalisti finiti in carcere. E nella Russia di Vladimir Putin, dove il carcere per i giornalisti scomodi è una costante, è stata addirittura proposta una legge per mettere in gabbia i giornalisti che pubblicano brutte notizie che possano creare stress e preoccupazione nella popolazione. Insomma, per tornare all’Eni, sembra debole la tesi per cui uno scoop può mettere in difficoltà un’azienda, se l’azienda stessa è solida e apprezzata dal mercato. Anzi, come dimostra il caso degli Stati Uniti, fa parte di un’economia evoluta la possibilità per i giornali di svelare notizie economiche e finanziarie di rilievo per il pubblico. In ogni caso, per essere garantisti, anche in caso di avviso di garanzia si parte sempre dalla presunzione di innocenza. Di sicuro, secondo qualche addetto ai lavori, la notizia dell’avviso di garanzia a Descalzi è arrivata in un momento poco opportuno: cioè nel momento in cui il Governo starebbe cercando un compratore per un 5% di Eni con cui far cassa. Ma probabilmente un investitore andrà a comprare Eni per i suoi fondamentali e la sua redditività e non si farà influenzare da notizie giudiziarie anticipate dai giornali. Di sicuro, sembra partire una crociata di Renzi contro alcuni giornali, che oggi hanno segnalato la doppia doccia gelata per la crescita italiana sotto l’egida del suo governo: la prima arrivata dall’Ocse, la seconda da Standard&Poor’s.