È quasi arrivato il giorno del divorzio tra Telefonica e Telecom Italia. Storia di un amore mai sbocciato, malgrado le tante buone dichiarazioni degli anni passati. Non è trascorso nemmeno un anno da quando, a metà settembre del 2013, Telecom Italia sembrava sul punto di diventare totalmente spagnola, dopo l’accordo raggiunto tra i soci italiani di Telco (Intesa Sanpaolo, Generali e Mediobanca) e il gruppo presieduto da Cesar Alierta che avrebbe dovuto salire progressivamente nel capitale dell’ex-monopolista guidato da Marco Patuano.
Quelle intenzioni non si sono mai concretizzate perché, alla fine, la conquista di Telecom Italia si è rilevata soltanto una tappa intermedia e necessaria verso un’area geografica ben più promettente: quella del mercato brasiliano. Dalla fine dello scorso anno ad oggi è infatti iniziata una convivenza forzata fra Telecom e il suo ingombrante azionista iberico, che ha portato prima le minoranze (fra le quali in testa la Findim di Marco Fossati) a sfidare il gruppo iberico in assemblea con le inevitabili dimissioni del precedente capoazienda Franco Bernabè.
Poi è iniziato il pressing dell’Antitrust brasiliano, già vigile da tempo sulla situazione, affinché Telefonica tagliasse la sua influenza su Telecom Italia, in modo da evitare una concentrazione di interessi troppo forti in terra carioca tra Tim Brasil e Vivo, la prima sotto l’indiretta influenza di Telefonica e la seconda controllata direttamente dal gruppo di Alierta.
Resta da capire se il finale, a cui si assiste oggi, è soltanto frutto di una serie di eventi fortuiti o se Telefonica già lo scorso anno, al momento della presa di controllo indiretta di Telecom Italia, avesse in mente di accrescere la sua influenza sull’ex-monopolista italiano (tagliando il legame con gli altri soci di Telco) per poi uscire dall’investimento alla migliore occasione, magari utilizzandolo come merce di scambio.
Del resto, l’investimento in Telecom Italia, soprattutto negli ultimi anni, al di là delle dichiarazioni buonistiche, non ha mai fatto impazzire il gruppo iberico, che ci ha perso negli anni circa 2 miliardi di euro. Era il 2007, infatti, e Telefonica si trovò costretta a entrare nella partita Telecom Italia, ma soltanto per evitare l’espansione di due concorrenti come l’americana At&t e l’America Movil di Carlos Slim, che avevano inviato a sorpresa due offerte per il pacchetto detenuto dalla Pirelli di Marco Tronchetti Provera in Olimpia. Su una base di una strategia di realpolitik il gruppo guidato da Alierta si decise allora ad allearsi con Mediobanca, Assicurazioni Generali, Intesa Sanpaolo e con la Sintonia della famiglia Benetton per sbarrare la strada agli avversari, soprattutto al messicano Carlos Slim, il più temibile dei concorrenti soprattutto in Sudamerica.
Ma, per come era nato, quasi un investimento obbligato più che un reale interesse, il legame tra Telefonica e Telecom Italia non si è mai sviluppato d’intensità. In sei anni di affiancamento a Telefonica, che avrebbe dovuto essere un socio industriale, l’ex-monopolista ha dovuto difendersi dalla concorrenza in casa propria di Vodafone, Wind e 3 Italia. Le sinergie, se si potevano ottenere, con il gruppo iberico non si sono mai viste e come unico «tesoretto» restava la controllata Tim Brasil, quella sì capace di crescere a due cifre.
Ma anche su quest’ultimo fronte Telefonica si è dimostrata un ostacolo ai piani italiani. Il matrimonio Gvt-Tim Brasil sembrava l’unico in grado di fornire prospettive internazionali a Telecom. Non è andata così perché lo scomodo alleato iberico, azionista di riferimento benché non rappresentato in Cda, si è messo fino all’ultimo di traverso, battendo la proposta italiana in zona Cesarini. Ora manca solo il divorzio definitivo. Il pacchetto dell’8,3% in Telecom, anche se non finirà a Vivendi, è ormai in vendita. E Telefonica uscirà dalla scena con quello che desiderava.