La Banca Popolare di Milano diventa l’epicentro del futuro cantiere di aggregazioni delle banche popolari. Domani 27 agosto l’istituto di piazza Meda annuncerà i conti semestrali e il giorno dopo, con la conference call, si potrà avere forse anche qualche dettaglio in più sui tempi della riforma della governance dopo l’invito di Banca d’Italia a riprendere il confronto sul tema.
Il presidente Andrea Bonomi, assieme al consigliere delegato Piero Montani, starebbe lavorando a tutto campo. Sul tavolo non ci sarebbe soltanto la riforma della governance, ma anche la valutazione di quasiasi opzioni disponibile: non ultima un’alleanza o una fusione con un’altra banca Popolare. Anche se in questa fase nessuno è disposto ad ammetterlo in modo ufficiale, negli ultimi mesi le discussioni nel mondo delle Popolari si sarebbero infittite: contatti che vedono protagoniste Bpm, Ubi Banca, Banca Popolare dell’Emilia Romagna e Banco Popolare. Lo stesso ticket al comdando della Bpm, che finora ha sempre ribadito la volontà di mantenere la banca utonoma e indipendente, sarebbe stato destinatario delle prime richieste informali dei vertici delle altre tre grandi popolari. Per ora si tratterebbe solo di contatti esplorativi, ma tutti sono consci che il tema del consolidamento potrebbe presto tornare d’attualità.
Il dossier Bpm, nel mondo delle banche cooperative, resta comunque uno di quelli più roventi, proprio per il governo societario ancora lacunoso. Per raggiungere un risultato, almeno per venire incontro all’invito di riforma di Banca d’Italia, c’è abbastanza tempo. Da qui a novembre infatti Bonomi, assieme al consiglio di gestione, dovrebbe mettere a punto un nuovo documento da presentare a via Nazionale. Un cammino, non senza ostacoli, che verrà intrapreso proprio mentre sarà in corso l’aumento di capitale da 500 milioni che piazza Meda ha annunciato e che deve fare per sostituire, ai fini dei ratios patrimoniali, i 500 milioni di Tremonti Bond rimborsati a fine giugno.
Possibile che sia difficile trovare subito la giusta direzione per raggiungere il consenso anche con le tante anime che rappresentano la banca: per riuscire a convincere i potenti sindacati interni della bontà della riforma. Il consenso che riuscirà a raggiungere Bonomi sarà fondamentale per portare la Popolare di Milano in acque più tranquille in vista dell’appuntamento cruciale del prossimo aprile quando si terrà l’assemblea dei soci dell’istituto: occasione che potrebbe suggellare il buon lavoro svolto dal consiglio di gestione, ma anche all’opposto rivelarsi una resa dei conti tra i soci e il consiglio di gestione nel caso qualcosa non dovesse andare per il verso giusto. Di sicuro, sembra improbabile che venga riproposta la pura e semplice trasformazione della banca da cooperativa in società per azioni, già bocciata nell’aprile scorso e su cui il vertice puntava per aumentare il controllo del gruppo riducendo il potere dei dipendenti-azionisti.
Più facile che venga scelta una soluzione di compromesso. Ma fino a che punto Bonomi potrà spingere la riforma? Dato per scontato che dovrebbe essere mantenuto il modello cooperativo, anche se magari in una forma rivisitata, visto che i sindacati hanno già sostenuto a spada tratta che la Bpm è e deve rimanere una banca popolare, resta da capire come la riforma potrà ridisegnare la governance. Bonomi potrebbe puntare a rivedere il peso sui consigli dei dipendenti-soci che potrebbero ad esempio perdere la maggioranza del consiglio di sorveglianza. Qualche sindacato sul tema si sarebbe invece già dichiarato, dicendosi favorevole a un consiglio d’amministrazione unico al posto del modello duale.
Di sicuro, le posizioni non sembrano vicine. Il tempo per il confronto c’è, anche se sull’istituto pende pur sempre la spada di Damocle di Bankitalia, che per ora si è servita solo della moral suasion dopo la sua ispezione pur evidenziando aspetti negativi nella vita della banca come le ingerenze del consiglio di sorveglianza, la scarsa dialettica interna al consiglio di gestione e l’impossibilità di avviare il piano industriale. Per ora solo un invito al cambiamento, quello di via Nazionale, che però potrebbe modificarsi in una richiesta più esplicita di aggregazione se la situazione non dovesse sbloccarsi.